Prologo
Una volta, su un pianeta non noto, si diffuse tra gli abitanti la convinzione che la luna stesse per cadere. Dapprima era solo una superstizione serpeggiante, tramandata dagli sciocchi ed irrisa dagli svelti. Poi, come nel mondo conosciuto, le voci divennero fatti e tutti – in democrazia – se ne convinsero.
Solo un uomo, un astronomo di nome Allen Meyer, viveva la calamità incombente con attesa euforica. Non già per interesse scientifico circa il fenomeno assai insolito, quanto per via di alcune sue disperazioni causategli dalla prematura scomparsa di una donna, che non starò ora ad annoverare.
Non che egli fosse impaziente di estinguersi, ma aveva adottato, in seguito ai suoi guai, una sorveglianza morbosa ed insonne di tutte le ipotesi del terzo tipo, cioè di tutti quei fenomeni inverosimili che, a ragion veduta, non possano verificarsi mai.
Se a quel tempo la luna fosse caduta, non vi sarebbe stata consolazione più grande per l'astronomo Allen Meyer, poiché il vedere violate persino le rassicuranti leggi della fisica gli avrebbe finalmente confermato che il suo dolore, che al tempo felice del suo amore credeva impossibile, era anch’esso contemplato nell'ordine del cosmo, e sarebbe morto volentieri, con il cuore finalmente in pace.
Ma in questa storia non c'è un lieto fine, almeno per quanto non vi fu un così pessimo inizio, e a quel tempo la luna non collassò su quel pianeta poco noto, ma rimase appesa al filo, invisibile e precario, che è la causa di ogni dispiacere: l’illusione che mai questo si spezzerà.
Il mattino seguente la scongiurata sventura, l’astronomo Allen Meyer, l'unico uomo che in essa riponeva la sua consolazione, partì in fretta, e forse ancora oggi è in cerca di un altro pianeta.
Dove la terra non si veneri, si dissodi.
Dove l'amore non si celebri, si divori.